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martedì 27 settembre 2011

Le grandi artiste della storia - Elisabetta Sirani


Anime prigioniere le donne, quasi spiriti passivi della storia, che solo ultimamente hanno cercato di prendere in mano la loro libertà di espressione. Alle donne infatti, se ben si analizza il loro percorso nella storia, non è mai stato permesso di esprimersi liberamente nel campo dell’arte e della cultura. Il loro ruolo rimane sempre isolato e limitato a quello di muse ispiratrici. Considerate, fin dall'antichità, esseri inferiori, hanno vissuto per secoli oppresse dalle convenzioni sociali da una pretesa inferiorità; nessuna poteva dar voce alla propria creatività nella produzione di opere che non fossero l’ornato o il cucito, stretto confine da cui pareva impossibile smarcarsi. Sfogliando “l’Arte al femminile” si scopre che in realtà le donne che hanno fatto la storia dell’arte sono molto più numerose di quel che si crede, però la loro fama è stata offuscata per questo, quasi tutti ne ignoriamo l’esistenza. Fino al XIII secolo, chiunque porta la gonna non può seguire lezioni di nudo in accademia. Quelle poche donne che si dedicano alla pittura devono accontentarsi di disegnare nature morte e miniature. Elisabetta Sirani, per poter continuare a dipingere viene addirittura costretta ad eseguire pubblicamente un dipinto per dimostrare di essere veramente dotata. La libertà comincia con l’inizio dell’800, quando fioriscono dappertutto atelier per sole donne. Questo non significa riconoscimenti per i capolavori eseguiti dai geni femminili, ma solo una nuova moda per le signore di alto rango che con la pittura trovano un nuovo passatempo. Bisognerà aspettare l’inizio del XX secolo per vedere aumentare la partecipazione delle donne alla vita culturale, grazie alle associazioni femministe che lotteranno contro la disparità sessuale. Ma la battaglia era solo agli inizi….
Esponente di primo piano del classicismo bolognese e europeo, è una figura complessa e peculiare, che si integra nel suo tempo per trascenderlo sotto molti aspetti. È una donna glorificata come protagonista di una professione tipicamente maschile. È artista di successo internazionale e maestra nella scuola di pittura da lei fondata: una pittrice professionista nella Bologna del Seicento, ammirata da ospiti illustri e di nobile lignaggio che visitano casa Sirani per vedere Elisabetta all'opera  definita “l’angelo-vergine” della pittura bolognese da Carlo Cesare Malvasia, suo primo scopritore e biografo. È la figlia obbediente e rispettosa del padre-maestro, il pittore Giovanni Andrea, che tuttavia dall'influenza del padre si affranca prestissimo cominciando sin da giovane a dipingere su commissione, rivelando una straordinaria padronanza tecnica. Elisabetta Sirani (1638-1665) nacque e visse nella Bologna della Controriforma: seconda città dello Stato Pontificio, in cui la vita culturale era ricca e stimolante. Figlia di Giovanni Andrea, pittore e mercante d’arte allievo di Guido Reni, imparò tecniche e modelli nell'officina paterna. Cominciò a dipingere su commissione a soli diciassette anni, sviluppando ben presto una straordinaria tecnica personale che si rivelò definitivamente quando, nel 1658, le venne commissionato il Battesimo per la chiesa bolognese di San Girolamo alla Certosa
Suo esordio ufficiale e prima committenza pubblica di grande importanza, l’opera svela la fresca vitalità della pittura di Elisabetta, insieme al suo allontanamento dal pacato linguaggio paterno. Nella pittura della Sirani l’esperienza femminile si incarna in uno straordinario virtuosismo tecnico e in una folgorante rapidità, che le permisero di realizzare in soli dieci anni quasi duecento opere, da lei stessa catalogate accanto alle singole committenze nella sua "Nota delle pitture fatte da me - Elisabetta Sirani". Un’attività instancabile e quasi febbrile, principale causa della malattia che portò l’artista a una morte precoce, dovuta a una grave ulcera gastrica, all'età di ventisette anni. Elisabetta fu seppellita con un solenne funerale accanto alla tomba di Guido Reni, nella chiesa bolognese di San Domenico. La sua morte, improvvisa e inspiegabile, fu accompagnata da un epilogo romanzesco. Lucia Tolomelli, domestica della famiglia, venne sospettata e accusata in un processo (1665-1666) di aver avvelenato la pittrice, causandone la morte. Il processo, basato su accuse non convincenti, si concluse con l’allontanamento della Tolomelli dalla città, ma il mito del presunto avvelenamento perdurò a lungo, alimentando l’alone leggendario che nei secoli avrebbe avvolto la figura dell’artista.
Rimase viva, dopo la sua morte, l’eredità che Elisabetta lasciò alle allieve della sua scuola di pittura, tra le quali le sorelle Barbara Annamaria (autrici di pale d’altare per le chiese del contado bolognese), Ginevra Cantofoli e Lucrezia Scarfaglia, passata dopo la scomparsa della maestra alla scuola di Domenico Maria Canuti. La leggenda La celebrità che Elisabetta Sirani acquistò in vita per le sue indubbie doti artistiche si trasformò in una sorta di leggenda dopo la sua morte. Fu il canonico Carlo Cesare Malvasia, suo primo scopritore, a plasmare e perpetuare il “mito Sirani” modellandolo consapevolmente su quello di Guido Reni. Nella biografia dell’artista pubblicata nella sua Felsina Pittrice (1678) la descrive come “l’angelo-vergine” della pittura bolognese del Seicento, la celebra come “il prodigio dell’arte, la gloria del sesso donnesco, la gemma d’Italia, il sole della Europa” e ne piange la scomparsa prematura. La leggenda creata attorno alla sua figura, rafforzata dalla vicenda della sua precoce morte per supposto avvelenamento, andò alimentandosi nei secoli successivi. Elisabetta Sirani divenne soggetto di numerosi testi letterari, tra i quali il Pennello lacrimato (1665), di Giovanni Luigi Piccinardi e la Poesia muta celebrata dalla pittura loquace (1666) e conobbe in seguito una particolare fortuna nell'Ottocento, secolo sensibile alle eroine romantiche.
La pittrice fu celebrata da numerosi componimenti drammatici, romanzeschi e dipinti, che ripresero ed esaltarono la figura della giovane artista uccisa dall’invidia della sua serva. Nuovi e recenti studi ci hanno restituito un’immagine dell’artista affrancata dalla sua leggenda.  Oggi Elisabetta Sirani non è considerata solo l’erede al femminile di Guido Reni, ma l’abile professionista che intraprendendo un percorso artistico importante e significativo si rese protagonista del secolo d’oro della pittura bolognese. 

Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso; e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima - G. Bernard Shaw.





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