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martedì 6 settembre 2011

La pubblicità è l’arte di convincere i consumatori?

Nel “PrincipeMachiavelli sosteneva che prima di tutto bisognasse conquistare il consenso del popolo e che solo l’apparenza e non l’essenza delle cose fosse importante, dato che il popolo tende a giudicare dall'esteriorità. Infatti lo scopo della pubblicità è proprio quello di convincere la gente dell’efficacia e dell’ utilità di un prodotto. La pubblicità è un’offerta vantaggiosa diretta a far conoscere l'esistenza o a incrementare il consumo e l'uso di un bene o un servizio, a solo discapito del libero arbitrio. In pubblicità, la fiducia non si conquista con l’impatto, ma con un processo graduale. La fiducia totale arriva solo come risultato di tante piccole fiducie parziali che si concedono ai prodotti. Negli ultimi decenni la pubblicità ha avuto una notevole trasformazione oltre che un notevole incremento. Essa oggi può essere definita per la sua grande espansione un "fenomeno sociale" poiché ha perso di vista quelli che sono gli scopi per i quali è nata. Oggigiorno essa però ha assunto ruoli diversi che vanno oltre quello informativo, essendo il nostro un tipo di economia basato sul consumismo. Fra tutte le possibili classificazioni della pubblicità forse quella più semplice e basilare è la classificazione in relazione al fine ultimo profit/non profit (e cioè se la réclame è più o meno a scopo di lucro):
Pubblicità commerciale, Pubblicità sociale, Advocacy advertising, Pubblicità pubblica, Propaganda politica.
Il consumatore oggi è un esperto nell’uso delle tecniche di selezione per filtrare i messaggi che riceve. Un esame superficiale dei messaggi gli basta per decidere quali ascolterà ed elaborerà e quali ignorerà spietatamente. Mentre agli occhi di un'azienda, una pubblicità efficace è quella che fa guadagnare soldi, perciò lo scopo della pubblicità, il motivo per cui s'investe denaro in uno spot televisivo o quant'altro, è quello di vendere di più il proprio prodotto. 
La pubblicità ha radici antiche, almeno sotto forma di propaganda. A Pompei si possono leggere ancora oggi delle scritte, sui muri delle case romane distrutte dal vulcano nel 79 d.C., che invitano i passanti a votare per un certo candidato alle elezioni. Ma di pubblicità vera e propria si può parlare solo dopo l'invenzione della stampa. Il primo annuncio pubblicitario risale al 1630 e apparve su un giornale dell'epoca: si trattava di una semplice inserzione che richiamava il nome del prodotto. Con la rivoluzione industriale, l'aumento della produzione di merci si è imposto poi il modello pubblicitario che noi conosciamo: il prodotto di una scienza che usa tecniche raffinate e si avvale dell'apporto di psicologi, artisti, disegnatori e registi famosi. La comunicazione pubblicitaria nasce e cammina parallelamente alle esigenze economiche, sociali, politiche e culturali di un paese.
Allora la pubblicità serve, oppure il mercato funzionerebbe alla stessa identica maniera anche senza di essa? Si può dire che la pubblicità fa un certo effetto sul consumatore finale - lo è sicuramente. Dipende pur sempre dal tipo della réclame. Di certo sono i Mass Media che occupano la posizione strategica. In particolare al giorno d'oggi sono le televisioni la principale fonte informativa, perché solo una ridotta minoranza di persone legge libri e giornali o si informa tramite internet. Quindi alle TV va posta particolare attenzione. Sebbene venga resa disponibile una gran quantità di informazioni, immagini e commenti (cioè "contenuti"), spesso è difficile determinare l'autenticità e l'affidabilità dell'informazione contenuta nelle pagine web (che spesso sono auto pubblicate). I mass media hanno dunque rivoluzionato davvero l’universo delle comunicazioni investendo anche la sfera privata degli individui, cambiando i loro saperi, le loro abitudini e il loro modo di pensare. La cultura di massa tende quindi ad appiattire le identità degli individui, su modelli prestabiliti. Viene fornita così una pseudocultura: non perché i mass-media diffondano delle falsità, ma perché inducono a dei falsi bisogni che vengono presentati come indispensabili, anche a quei popoli che mancano dei primari beni di consumo. Per non rischiare di perdere le proprie radici è opportuno che ogni civiltà diventi più consapevole dei propri costumi e della propria identità culturale, al fine di non venire schiacciati da altre popolazioni più forti economicamente che impongono nel mondo il proprio modello.




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