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lunedì 10 ottobre 2011

"La Bella Estate " di Cesare Pavese

"Bisogna capire la vita. Capirla quando si è giovani" - Cesare Pavese.

In questo periodo avevo iniziato a leggere un libro senza sapere a quali emozioni mi porterà. Un libro che da tempo si perdeva sulla mensola del mio scaffale e visto che prendeva un bel pò di polvere ho pensato che sarebbe meglio dare un'occhiata alle poche pagine. Eh già, quel libro mi ha fatto compagnia nel treno andando verso la nuova avventura universitaria così attesa per riscoprire finalmente i nuovi orizzonti culturali. 
La bella estate”, pubblicato nel 1949, contiene tre romanzi brevi: “La bella estate” intitolato originariamente “La tenda” scritto nel 1940, “Il diavolo sulle colline” (1948) e “Tra donne sole” (1949). Il testo risale ad una fase di “naturalismopavesiano. È un romanzo d’ambientazione cittadina e dell’iniziazione alla vita e all'amore. Ciascuno di essi potrebbe costituire un testo a sé stante, ad unirli è un’atmosfera di giovanile scoperta del mondo, il rapporto città/campagna, la frequente disillusione e il disagio che permeano i personaggi più deboli e più giovani, il desiderio e la fretta della trasgressione. Per quest’opera Pavese ricevette il Premio Strega nel 1950. La grandezza di Cesare Pavese viene confermata ancora una volta da questo splendido libro, intenso e affascinante. Tutto il male di vivere, i timori, le incomprensioni e le angosce emergono con grande maestria da queste pagine che risultano avvincenti dall'inizio alla fine. Ogni parola ha un potere espansivo enorme, e la storia si gonfia dentro per la sua prorompente realtà; la vergogna, il pudore violato, esperienza inevitabile di ciascun essere; e il tratteggio dei caratteri è poesia.
Tra realismo e simbolismo lirico si colloca l’opera di Cesare Pavese, per il quale la realtà delle natìe langhe e della Torino della vita adulta diventa teatro delle proiezioni interiori, del profondo disagio esistenziale, dei miti immaginativi, della ricerca di autenticità, delle ossessioni psichiche. E’ l’epoca della noluntas in cui l’artista si lascia vivere, è pieno di contraddizioni e di conflitti. Sua unica ricchezza è una sensibilità che non serve a nulla e agisce soltanto in senso negativo, corrodendo ogni certezza sul destino del mondo, della storia, dell’individuo. C’è uno scompenso fondamentale tra il sentire, il capire e l’agire, per cui il primo elemento determina una specie di paralisi degli altri due. L’artista decadente, smarrita assieme ai valori tradizionali ogni volontà di agire, si trova nell'incapacità di affrontare l’esistenza, gravemente handicappato nei rapporti umani, sempre a disagio in ogni situazione esistenziale, con grosse tare nevrotiche originate proprio da questa situazione di inadeguatezza nei confronti della vita. Per la letteratura del Novecento, il grado di autenticità poetica è determinato dalla misura di aderenza alla sconsolata visione dell’uomo, colto nel suo destino di angoscia. Pavese racconta con disinvoltura dell'estate di Ginia. E racconta di Amelia e dei pittori e dei corpi e dei ritratti, dei colori e del freddo pungente di una cittadina in collina dove si consuma la loro splendente età. Con disinvoltura e allo stesso tempo con garbo, forse troppo. Costeggia la ragazzina e la donna Ginia, ne traccia i contorni, come nei bozzetti di Rodriguez. Lascia che sia quasi indefinita, come se Ginia fosse Ginia e chiunque insieme, come fosse lei e tutte le sedicenni di ogni epoca e luogo insieme. Ginia scopre il sottile confine fra l'essere giovani e fresche e l'essere ormai invecchiate, paradossalmente, una volta che del corpo si sono scoperti tutti i segreti e ormai nulla sembra in grado di ridarci quei giorni spensierati. 
"La bella estate" è un racconto intenso e ricco di spunti per la riflessione: è una finestra su un periodo storico ormai trascorso e racconta le emozioni, i desideri, le aspirazioni e le esperienze di giovani desiderosi di vivere pienamente la vita. Assolutamente da leggere !

"Sarebbe facile, se fosse vero, capire la gente" - Cesare Pavese.

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